martedì 5 aprile 2011

PER RICORDARE LA FIGURA DI GIORGIO SPITELLA A DIECI ANNI DALLA SCOMPARSA


(ASCA) Perugia, 5 aprile - A dieci anni dalla scomparsa di Giorgio Spitella, per cinquant'anni testimone dell'impegno cattolico in politica, l'Università per Stranieri di Perugia organizza un incontro pubblico per commemorarne la figura di politico, di rettore e di uomo. Lo annuncia una nota dell'Ateneo in cui si sottolinea che il 9 aprile, a ricordarlo ci saranno anche Pierferdinando Casini ed Emilio Colombo, accolti da Stefania Giannini, che dal 2004 è Magnifico Rettore dell'istituzione, al pari di Spitella che rivestì il ruolo sino al '94. Il lungo impegno pubblico di Spitella, umbro di Foligno, inizia nel 1956 come segretario provinciale della Democrazia Cristiana di Perugia, ma è preceduto dall'esperienza nella Gioventù Italiana dell'Azione Cattolica umbra. Sono gli anni dei "baschi verdi", divisa dei giovani che percepiscono la necessità di testimoniare i doveri civili e religiosi e anche in campo politico. Giorgio Spitella partecipa con entusiasmo alle iniziative che la Gioventù Cattolica anima in quel decennio ed eredita l'energia politica, che gli sarà di supporto per la successiva esperienza parlamentare, governativa e accademica. Nel 1976 è eletto senatore, riconfermato quattro volte fino al 1987, facendo parte delle Commissioni Istruzione Pubblica, Beni Culturali, Affari Esteri, dell'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa e dell'Unione Europea occidentale (UEO). E' inoltre sottosegretario ai Beni Culturali e Ambientali durante il terzo, quarto e quinto governo Andreotti. Nel 1982 è eletto Rettore dell'Università per Stranieri di Perugia, che nei dodici anni della sua reggenza amplia e consolida il ruolo di istituzione protagonista della politica estera culturale italiana.

sabato 2 aprile 2011

CASINI: SERVE CHIAREZZA NON SI PUO' GIOCARE SULLE SPALLE DEGLI ITALIANI, CON LA DEMAGOGIA DELLA LEGA AVREMO SEMPRE PIU' CLANDESTINI


Chi si era illuso che con la Lega al governo i clandestini non sarebbero arrivati vede che si tratta di un problema biblico che non si attenua perché al governo ci sta tizio o Caio. Con la demagogia, con le chiacchiere e le baggianate come le ronde, ci troveremo sempre più clandestini.
Ora aspettiamo che martedi, in Parlamento, il ministro Maroni ci dica luoghi, dislocazioni e numeri visto che finora abbiamo sentito solo chiacchiere e cose confuse. Quel che è certo è che non si possono fare i giochi delle tre carte sulle spalle degli italiani. I sacrifici, se ci sono, vanno ripartiti equamente tra tutti e bisogna soprattutto che le cose avvengano con chiarezza e trasparenza. Bisogna fare è rimandare a casa i clandestini ed accogliere i rifugiati. Non ci sono alternative.

Pierferdinando Casini

[dal sito istituzionale di Pierferdinando Casini]

venerdì 1 aprile 2011

ASPETTANDO TEJERO - "POI NESSUNO SI LAMENTI DELLA SFIDUCIA NELLA POLITICA", di Enzo Carra [Liberal, 01/04/2011]


Si può anche concludere che la situazione è grave ma non seria. Così va l'Italia e non c'è niente di nuovo. In fondo, nel pomeriggio di mercoledi abbiamo assistito al remake di una manifestazione, quella del lancio delle monetine, già andata in onda nell'aprile del '93, davanti all'albergo di Bettino Craxi. Con diversi ritocchi però. Le monetive non sono le stesse, oggi c'è l'euro. Craxi non c'è più, ma Cicchitto c'era. Tra gli insulti, a parte il "ladro", è comparso nuovamente il "fascista". Davanti al Raphael non potevano certo usarlo.

Sulla piazza di Montecitorio al ministro della Difesa, invece, gliel'hanno ripetuto più volte. A un ministro che, guarda un pò, dopo essere stato tanto tempo in aula per non far mancare il suo voto alla prescrizione breve ordinata dall'avvocato di Berlusconi, aveva sentito l'imperioso bisogno di conoscere i manifestante, e magari fare amicizia con loro. Tra questi lanciatori di monetine, rispetto al '93 mancavano certamente i suoi amici che, allora, erano in prima fila. Quel pomeriggio davanti al Raphal finì un'epoca. Chissà se la passeggiata pomeridiana del nostro uomo di governo coincida con la fine di un'altra. Le monetine portano bene. Lo dimostra il fatto che il ministro, rientrato a passo di carica a Montecitorio, non ha raccolto la solidarietà che s'aspettava ma, piuttosto, ha creato a sé stesso e al governo di cui fa parte un danno forse non rimediabile. Eppure, quella di mercoledi era una situazione infinitamente meno difficile di quella che avvolgeva Montecitorio durante la discussione del Patto Atlantico.

Al deputato comunista Nadia Gallico Spano che lo aggrediva: "Venga fuori, perché picchiano i deputati!" Giulio Andreotti, giovane sottosegretario di De Gasperi, rispondeva senza scomporsi che questa era una buona ragione per rimanere dentro. Mercoledi non c'era questo clima: lo scontro era duro, e basta. Lo si capisce anche rileggendo il fedele resoconto stenografico della Camera nel quale è descritto l'atteggiamento del ministro verso l'opposizione: lui coraggioso che ha appena sfidato i cento manifestanti e "voi sareste scappati come conigli". Dai banchi del Pd replicano, senza troppa fantasia: "Fascista, coglione!". Il protagonista di questa piccola Waterloo, dopo aver attaccato il fronte sinistro del Pd, decideva infine di mandare scrupolosamente affanculo il presidente della Camera. E poco imposta se ieri, poi, il verbale discusso e approvato in aula userà parole più lievi per riferire l'episodio. Figurarsi, si è rispolverato il verbo "apostrofare", ormai da tempo in pensione, per sintetizzare pudicamente la scena dell'affanculo, la quale però, lo si voglia o no, resta, in tutta la sua gravità di scontro istituzionale. E' comprensibile che i partecipanti a questa incredibile rissa preferiscano, finché è possibile, minimizzare, se non addirittura glissare. Il fatto che al ministro siano state somministrate molteplici raffiche dichiarative che lo definiscono un malato da curare e facciano pensare a un best seller di Dino Segre, più famoso come Pitigrilli, l'autore di Cocaina, ecco, tutto questo interessa relativamente poco. Qui in gioco c'è la saldezza del nostro sistema democratico. Giornate come queste danno la misura di quanto esso sia in crisi. Per fare di più e peggio, a questo punto, non può esserci che l'irruzione nell'aula di Montecitorio o di Palazzo Madama di un colonnello Tejero italiano (ma anche extra comunitario andrebbe bene). Insomma, non si può pensare di uscire da situazioni tanto complesse rivedendo i periodi di un verbale. Se nel giro di pochi mesi i portoni del Senato e quelli della Camera vengono assediati, e quello del Senato addirittura violato dai manifestanti, senza che il ministro degli Interno riesca a spiegare la ripetuta disattenzione della polizia. Se un ministro della Difesa può impunemente insultare la terza carica dello Stato. Se tutto questo succede senza che nessuno paghi, vuol dire che le istituzioni non sanno difendersi perché sono già diventate qualche altra cosa. E' per questo che chi ha chiesto le dimissioni del ministro non l'ha certamente fatto per portargli un attacco personale, ma perché è indispensabile un solenne atto riparatorio per ricominciare. Per nostra sventura fino a questo momento non ci sono state le dimissioni e neanche le scuse.


[da "Cronache di Liberal" del 01/04/2011 - collegati al Blog di Enzo Carra]