martedì 6 dicembre 2011

BEPPE PISANU A TERNI AL CONVEGNO PER IL CENTENARIO DELLA NASCITA DELL'ONOREVOLE FILIPPO MICHELI


"Certo Franco l'esperienza della DC è conclusa e non è più riproponibile. Ma dobbiamo prendere atto che la diaspora democristiana, con i cattolici un poco di qua e un poco di là oggi presenti nei vari schieramenti politici e di ruiniana memoria, è fallita e non siamo riusciti a far valere insieme, perché mai siamo riusciti a metterci insieme, in quanto sopraffatti dagli altri, i nostri principi e i nostri valori. Ora la storia ci sta chiamando nuovamente in causa. I tempi che si annunciano hanno bisogno di noi. Per cui non vedo cosa impedisca ai cattolici di mettersi assieme ad altri laici e formare un nuovo soggetto politico in cui sia possibile dare ambia attuazione alla Dottrina sociale della Chiesa". E' con queste parole che il senatore Giuseppe Pisanu è intervenuto - replicando al senatore Franco Marini ed intendendo parlare a tutti i parlamentari PD di fede cattolica - al convegno "C'era una volta la Democrazia Cristiana: protagonisti di ieri, personaggi di oggi" organizzato dal Centro Studi Ezio Vanoni di Terni in occasione del centenario della nascita dell'onorevole Filippo Micheli che si è tenuto lo scorso sabato all'Hotel Michelangelo.


Un percorso che i cattolici in questo Paese - ha detto Pisanu ricordando proprio l'esempio di Micheli - hanno già sperimentato vincendo la sfida del dopoguerra insieme a repubblicani e liberali "varando la riforma agraria, creando milioni di piccoli proprietari agricoli, fondando quella grande risorsa sindacale che è stata la Cisl e poi la Coltivatori diretti, avviando l'industrializzazione e il miracolo economico, la Cassa del mezzogiorno, l'Ina Casa, la democratizzazione della scuola per dire delle riforme sociali più importanti".
"La crisi che colpisce l'Italia e l'Europa oggi - ha continuato Pisanu - modifica il comune sentire della gente. E' necessario perciò radunare le migliori energie e avviare finalmente le riforme che non riuscimmo a fare con il governo Prodi, né con Berlusconi. Il futuro appartiene a tutti e tutto dobbiamo collaborare a renderlo sereno. Non dobbiamo subire la forza bruta degli eventi, ma dobbiamo dominare i fatti con l'intelligenza come ci ha insegnato Aldo Moro. Noi cattolici dobbiamo vedere i gravi problemi del Paese con la cultura della fede. L'opposizione tra cattolici e laici è superata. Dobbiamo dar vita ad una nuova politica. Anche il Terzo Polo deve cambiare. Dobbiamo avviarci verso uno schieramento serio, che metta insieme laici e cattolici, rispecchiarsi nel Parlamento dove non è più possibile che una forza dell'8% dell'elettorato italiano come la Sinistra non sia rappresentata a causa di questa pessima legge elettorale che dobbiamo cambiare. Democrazia dell'alternanza, dunque, con le forze del mutamento che sono le donne e i giovani. I politici cattolici tornino alla fede, dalla fede facciano scaturire la loro politica, muovendosi non più da soli ma insieme ai laici che dividono con noi l'amore per la libertà, la giustizia e la democrazia. Poi, sui valori non negoziabili, ci divideremo e si vedrà chi democraticamente prevarrà".

domenica 30 ottobre 2011

LAVORO, LICENZIAMENTI: LA TRAPPOLA, di Savino Pezzotta


DA IL RIFORMISTA
"LA CRESCITA C'E'! I DISOCCUPATI" di Gianmaria Pica
Licenziamenti facili. La norma allo studio del governo che introduce maggiore flessibilità in tema di esuberi aziendali, farebbe schizzare la disoccupazione oltre l'11 per cento. Il ministero del Welfare smentisce. Ma i numeri parlano chiaro, secondo i calcoli della Cgia di Mestre.
Licenziamenti facili per creare migliori condizioni di crescita per le imprese e per l’occupazione? Bando alla demagogia. I numeri parlano chiaro: se la norma proposta dal governo fosse applicata in questo momento, il tasso di disoccupazione aumenterebbe di ben tre punti percentuali. Berlusconi&Co. dovranno ricredersi, l’elaborazione dei dati Istat e Inps parlano chiaro: i disoccupati salirebbero all’11,1 per cento, anziché essere all’attuale 8,2 per cento, con quasi 738 mila persone senza lavoro in più rispetto a quelle conteggiate oggi dall’Istat.
Lo scenario è stato delineato dall’associazione artigiani Cgia di Mestre. Il segretario Giuseppe Bortolussi definisce il calcolo «un puro esercizio teorico» ottenuto «ipotizzando di applicare le disposizioni previste dal provvedimento sui licenziamenti per motivi economici a quanto avvenuto dal 2009 a oggi». Nella simulazione dell’organizzazione dei piccoli e medi imprenditori veneti è stato calcolato il numero dei lavoratori dipendenti che tra l’inizio di gennaio del 2009 e il luglio di quest’anno si sono trovati in Cig a zero ore. Vale a dire i lavoratori che per ragioni economiche sono stati costretti a utilizzare questo ammortizzatore sociale del quale, con il nuovo provvedimento potranno disporre probabilmente solo a licenziamento avvenuto. Pertanto, se fosse stata applicabile questa misura segnalata nei giorni scorsi dal governo all’Unione europea, negli ultimi due anni e mezzo, questi lavoratori, che hanno usufruito della cassa integrazione, si sarebbero trovati, trascorso il periodo di «cassa», fuori dal mercato del lavoro.
Insomma, secondo la stima della Cgia di Mestre, sommando le Unità di lavoro standard (Ula) che hanno utilizzato la Cig a zero ore nel 2009 (299.570 persone), nel 2010 (309.557) e nei primi sette mesi di quest’anno (128.574), si ottengono 737.700 potenziali espulsi dal mercato del lavoro che in questi ultimi due anni e mezzo avrebbero fatto salire il tasso di disoccupazione relativo al 2011, all’11,1 per cento.
Confermata, dunque, la teoria del Riformista, secondo cui il nuovo provvedimento allo studio del governo è solo una misura tampone, poco utile alla crescita, ma essenziale per rimpinguare le casse dello Stato. Il ragionamento è chiaro. L’esecutivo costretto al ferreo rigore di bilancio non può più permettersi di stanziare miliardi di euro per gli ammortizzatori sociali in deroga: il finanziamento è stato di oltre 3 miliardi di euro nel 2010, appena un miliardo per quest’anno.
Il re è ormai nudo. È inutile che si nasconde dietro le dichiarazioni dei suoi gregari. Ieri, con una nota, il ministero del Lavoro ha fatto sapere che «l’ipotesi del centro studi è destituita di ogni fondamento». «Ciò di cui si discute -conclude il comunicato – è la regolazione della risoluzione del rapporto di lavoro per motivi economici, in modo da incoraggiare la propensione a assumere perché l’obiettivo, ovviamente, è fare più occupazione, soprattutto giovanile. Tutte le simulazioni relative alla maggiore flessibilità in uscita che a livello internazionale sono state realizzate danno infatti più occupazione». Concetto ribadito anche dal ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, in un’intervista al Corriere della Sera. Sacconi, ha afferma che l’obiettivo del governo «non sono i licenziamenti facili, ma creare le condizioni per la crescita delle imprese e dell’occupazione». Poi ha affermato che l’esecutivo riaprirà «presto, nei prossimi giorni» la trattativa con le parti sociali.
Al momento, però, dal fronte sindacale – ritornato unitario contro i licenziamenti facili – c’è la volontà di contrastare la presentazione di questa norma impopolare. Sacconi ha replicato alle organizzazioni dei lavoratori così: «Sarebbe assurdo se dopo dieci anni dal Patto per l’Italia e dalla morte di Marco Biagi dovessimo registrare lo stessa clima esasperato e non invece la possibilità di un confronto sereno. Cisl, Uil e Ugl invocano giustamente un tavolo di confronto sul lavoro. E noi lo vogliamo aprire quanto prima». Cgil esclusa.
Chiusura sul provvedimento anche da Savino Pezzotta, ex leader Cisl e parlamentare Udc: «Le regole sui licenziamenti collettivi in Italia – avverte – ci sono già e funzionano bene da anni. Nessuno fino a ora ha sentito l’esigenza di modificarle: è chiaro che si è di fronte al tentativo di fare altro e di incidere su quelli individuali». Insomma, anche per l’ex sindacalista la norma è «surreale» e non degna «di essere discussa». Invece di parlare di licenziamenti, per Pezzotta, «Berlusconi ci dica quante risorse mette a disposizione per il lavoro giovanile, per la formazione e il reimpiego dei cassintegrati, soprattutto i più anziani. In un paese che ha un tasso di attività del 57 per cento. Usare la parola licenziamento – conclude Pezzotta – è una bestemmia».

Scheda sintetica sulle norme in vigore sui licenziamenti collettivi

Con il termine procedura di mobilità oggi si indica il licenziamento collettivo, che l’imprenditore può adottare in presenza delle due seguenti condizioni, previste dalla Legge 223/1991.
  • La prima ricorre allorquando l’ imprenditore, che ha già in atto sospensioni dal lavoro con intervento della Cassa integrazione guadagni straordinaria, ritenga di non poter attuare il risanamento o la ristrutturazione necessari al superamento della Cassa.
  • La seconda si verifica allorquando l’imprenditore, che occupi più di 15 dipendenti, intenda licenziare almeno 5 lavoratori, nell’arco di 120 giorni, in conseguenza di una riduzione o di una trasformazione di attività o di lavoro, o quando lo stesso intenda cessare l’attività.
In entrambi i casi, l’imprenditore deve seguire una specifica procedura prevista dalla legge, informando preventivamente le Rappresentanze sindacali aziendali e i Sindacati Maggiormente rappresentativi . L’informazione deve riguardare i motivi che impediscono l’adozione di strumenti alternativi al licenziamento e le misure eventualmente programmate per ridurne l’impatto sociale.
A richiesta del sindacato, all’informazione dovrà seguire un esame congiunto, all’esito del quale le parti possono raggiungere un accordo, che individui – tra l’altro – i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare in maniera diversa da quelli indicati dalla legge (carichi di famiglia, anzianità, esigenze aziendali).
Le violazioni della procedura sindacale comportano l’inefficacia del licenziamento, con obbligo di reintegrare i lavoratori nei rispettivi posti di lavoro.Tali criteri rappresentano un aspetto di estrema rilevanza e la loro concreta applicazione è stata oggetto di controversie giudiziarie che hanno stabilito precisi limiti nella cd. determinazione pattizia tra datore di lavoro e sindacato per la loro definizione.
Importante sottolineare altresì come la giurisprudenza abbia definito anche ulteriori aspetti procedurali, quali la mancata segnalazione all’UPLMO dei criteri di scelta applicati, che generano la nullità dei licenziamenti.
Un altro tema oggetto di controversia riguarda la scelta dei lavoratori da porre in mobilità e, più specificamente, quale riferimento produttivo debba essere preso in considerazione nel caso di chiusura di uno stabilimento di una società con diverse sedi
Altra questione che ha più volte sollecitato azioni giudiziarie riguarda l’ individuazione della soglia prevista dalla Legge per l’applicabilità della procedura di mobilità, cioè in quale modo e con quale riferimento temporale si debba calcolare il numero dei dipendenti dell’impresa.
La legge e la giurisprudenza hanno definito anche particolari forme di tutela per le lavoratrici donne, così come specifiche condizioni che possono determinare la riassunzione del lavoratore posto in mobilità.
A seguito della messa in mobilità, il lavoratore viene iscritto in un’apposita lista, che gli garantisce un accesso al lavoro agevolato. Inoltre, il datore di lavoro ha la possibilità di assumere a termine, per non più di 12 mesi, i lavoratori iscritti nelle liste di mobilità.
Il lavoratore in mobilità ha il diritto di percepire l’ indennità di mobilità, a condizione che abbia almeno 12 mesi di anzianità aziendale (di cui 6 di lavoro effettivamente prestato), e sempre che il suo datore di lavoro rientri nel campo di applicazione della Cassa integrazione guadagni straordinaria.

giovedì 9 giugno 2011

[UMBRIA, FERMENTI AL CENTRO 2] / LETTERA APERTA ALL'UDC, di Francesco D'Andola

Pubblico di seguito la lettera aperta all'UdC di Francesco D'Andola:
La presente lettera nasce dalla necessità che sento di assolvere al dovere, civico e cristiano, di dire la verità. Una verità, sulla gestione umbra dell'UdC, che si è tentato di mistificare negli ultimi mesi con vari argomenti, di condire con discorsi politically-correct, ma che con queste ultime elezioni amministrative ha finito di emergere in tutta la sua chiarezza. E nonostante ciò constato esterrefatto che qualcuno si ostina a non prenderne atto.
E' evidente che mi rivolgo principalmente al Commissario regionale, nonché Responsabile nazionale per il Mondo Cattolico, ambito nel quale ho finora svolto la mia attivitò politica nell'UdC come responsabile regionale.
Anche se ormai non ho molto altro da aggiungere a quanto ho già chiaramente esposto nella mia lettera del 29 novembre scorso, ritengo doveroso trovare le parole per esprimere la mia profonda amarezza e delusione. Dopo averci creduto per anni in questo partito, da mesi viviamo nella profonda incertezza che he ha caratterizzato nel recente passato l'azione politica, la proposta è risultata spesso incomprensibile ed ambigua, soprattutto per l'elettorato cattolico. A fatica ne abbiamo portato il peso, ma siamo andati avanti nel lavoro con tutte le realità ecclesiali, fatto di dialogo umile e sincero con tutti. Questo dialogo ha prodotto una rete molto ricca, che in questi anni ha dato anche qualche significativo frutto elettorale. Non sto qui a ripercorrere i vari passaggi, già ampiamente argomentati nella precedente lettera.
Sorvolando sull'imbarazzante gestione del tesseramento, sia per quanto riguarda le nomine prima che la chiusura delle operazioni poi, sulla cui utilità in vista dei fantomatici congressi comincio a coltivare un legittimo scetticismo, vedo dritto al punto.
Dal recente responso elettorale umbro emerge drammaticamente tutta l'incoerenza di scelte fatte al solo scopo personale del medesimo soggetto che da decenni ormai conduce la gestione del partito in Umbria, il quale attualmente ricopre la carica di consigliere provinciale, anche se preferisce essere chiamato "commissario" provinciale piuttosto che "ex-parlamentare". A lui si deve da lungo tempo la cronica non-crescita dell'UdC locale, obiettivo a lui molto caro per la facilità a governare un "orto piccolo" piuttosto che un grande giardino. Mi è chiaro quindi il suo scopo, ciò che mi sfugge totalmente è la ragione della copertura che il Commissario regionale gli ha fornito in questi mesi...
Non sto qui ad elencare la lunga serie di operazioni che in questi anni hanno lasciato una scia di morti e feriti, in termini politici. Mi limiterò a focalizzare l'attenzione sulle sciagurate operazioni politiche messe in atto alle ultime elezioni amministrative.
Assisi - Lo scudo crociato sparisce per la prima volta dal Consiglio comunale. L'UdC, nella più improbabile operazione terzopolista portata caparbiamente avanti al solo scopo di consumare una vendetta personale, raccoglie solo 558 voti attestandosi al 3,67%, mentre la lista civica Tonino Lunghi - Uniti per Assisi raggiunge quota 1.988 voti (13,10%), risultando determinante per l'elezione del sindaco Ricci e portando a casa Vicesindaco, assessore e 3 consiglieri.
Citta di Castello - Qui l'UdC sceglie la corsa solitaria, mentre il resto delle forze terzopoliste sono a sostegno del candidato PdL-Lega. Risultato: 334 voti (1,62%) e anche qui scudo crociato sparito. Da notare che la lista civica Per Città di Castello, dove erano ospitati alcuni 'dissidenti' UdC, ne prende il triplo (912 voti, il 4,4%).
Gubbio - L'UdC si fa promotore di un candidato sindaco di estrazione civica sul quale convergono PdL e Fli. Nonostante fino all'ultimo si è tentato da parte dei vertici di scardinare l'operazione, la lista prende 630 voti, pari al 3,49% su un totale di coalizione del 26,26%, portando a casa anche un seggio oltre a quello del candidato sindaco.
Nocera Umbra (inferiore ai 15.000 ab.) - Determinanti per la vittoria della lista civica di centrodestra Vivere Nocera (1.927 voti, 49,27%) e per il cambiamento quindi di un'amministrazione che era di centro-sinistra, portando a casa anche un assessore su quattro. Operazione avversatissima fino all'ultimo dal commissario provinciale il quale però ne ha spudoratamente rivendicato il successo.
Trevi - Il centro-sinistra si presenta con due lista, dando anche qui la possibilità di cambiamento dell'amministrazione rossa alla terza lista, quella di centro-destra, lista civica Trevi per Andreani Sindaco, ovvero un nostro ex, non gradito però al commissario provinciale il quale, negandogli l'appoggio, lascia sfumare la possibilità di ribaltone per soli 14 voti.
Praticamente assento o ininfluenti negli altri Comuni. Alla luce di questi dati, dove è finita la credibilità di uomini e donne che ci dovrebbero rappresentare, più volte chiesta nell'ambito della Consulta del Mondo Cattolico? Che fine ha fatto la correttezza democratica invocata nelle procedure all'interno del partito? E ora la domanda è personale: perché il Commissario regionale si è prestata a copertura di operazioni fatte di ambiguità, di ragionamenti di basso profilo, di strategie a vantaggio degli affari meschini di pochi (nel nostro caso umbro di uno solo?).
Il mondo cattolico si attendeva altro, operazioni di lungo respiro, azioni fatte di coraggio e libertà, ma è evidente a questo punto che priorità sono state altre. Questo però non fa che generare ulteriore confusione nell'elettorato, aumentarne la sfiducia, ed infine perderne il consenso.
A livello personale non riesco a sostenere ulteriormente l'evidenza di una situazione che lascia a esponenti del mondo cattolico il ruolo di 'foglia di fico', mentre gli affaristi di partito possono continuare i loro soliti traffici, a Roma come in Umbria. E' una contraddizione che non riesce a stare più in piedi e che personalmente non intendo digerire oltre, dopo numerose denunce e amichevoli discussioni nel corso di questi anni. Ora i nodi stanno venendo al pettine. Ci sarebbe ancora molto di buono nell'Unione di Centro, persone con le quali il dialogo col mondo cattolico sarebbe possibile e fruttuoso. Ma stiamo facendoci scappare anche le ultime...
Se chi nel partito guida contemporaneamente l'Ufficio Mondo Cattolico e l'UdC regionale, non è in grado di comprendere che il mondo cattolico in larghissima parte ad Assisi è con Tonino Lunghi, per esempio, o a Castello con Marcella Monicchi e Alessandro Bartoli, e via dicendo, cosa da tempo nota a noi che respiriamo quest'aria da anni, e non ha nemmeno l'umiltà il giorno dopo di rendersene conto, ma anzi ostenta soddisfazione per i risultati ottenuto (!!!), questa persona è a mio avviso inadatta a ricoprire entrambi i ruoli.
Capisco che il mio è un parere poco autorevole agli occhi romani dl partito, ma forse ben più vicino di quegli occhi alla realtà del mondo cattolico umbro. Non metto in discussione la statura e l'autorevolezza del personagglio, ovviamente, ma il connubio consumatosi a livello regionale mi impedisce di rimanerne coinvolto. Non sono più disposto al ruolo di 'utile idiota' riservato ai cattolici, purtroppo ora in voga anche nel nostro partito: quella parte di popolo cristiano che ci ha finora accordato fiducia se ne sta accorgendo e sta cominciando a votare altrove.
Ogni scelta è lecita, ma se la prassi politica dell'UdC, in particolare a livello regionale, continuasse a risultare sempre più distante dal sentire del popolo cattolico, preferisco restare dalla parte di quest'ultimo, per il quale ho iniziato quest'avventura politica e al quale intendo rimanere fedele. A me non interessa. Se vi interessa continuare a coprire di apparenza 'cattolica' le sue azioni, non sarò della partita.
In fede.
Francesco D'Andola
già responsabile regionale per l'Umbria della Consulta Mondo Cattolico e Realtà Ecclesiali

[UMBRIA, FERMENTI AL CENTRO] / M'E' SCOMPARSA L'UDC, di Francesco Calabrese (dal Corriere dell'Umbria del 09/06/2011


On. Paola Binetti

Pubblico di seguito, l'interessantissimo intervento di Francesco Calabrese apparso oggi sul "Corriere dell'Umbria:
Dedicare una parte della propria vita all'impegno politico, meglio se anche speso al servizio di un'istituzione locale, porta con sé, nel bagaglio delle speciali esperienze che ti segnano l'intensità di quotidiane relazioni personali che, con gli anni, quasi non te ne accorgi, sono diventate preziose. Quando, poi, decidi di staccare e di recuperare per intero anche le altre intensità di vita, porti con te uno straordinario vissuto che alla fine si sarà caratterizzato soprattutto nelle persone che l'hanno condiviso. Ed allora sì, ben diverse le tue giornate ed il tuo mondo gira con altre polarità, ma le persone sono tutte lì, quando le rivedi o risenti è sempre una festa e neanche badi più, se mai lo hai fatto prima, quale fosse la loro parte politica. Molti, quasi non te ne eri accorto, sono diventati proprio amici, di quelli che non vedi o senti già da un pò, ma nasta un attimo per ritrovarti come sempre.
Così può accadere che un paio di settimane fa mi chiama Francesco Raspa, intraprendente riferimento dell'Udc assisana, "abbiamo vinto le elezioni e alla grande, la nostra lista oltre il 13%, tre consiglieri comunali, adesso anche vice-sindaco e assessore". Proprio grando. L'Udc di Assisi un bel gruppo, sempre bravi. Ok, certo che vengo alla cena per festeggiare, grazie, ci sarò senz'altro.
All'arrivo l'aria è di festa, baci e abbracci a tutti, di nuovo insieme e come sempre, poi la lunga tavolata e gli antipasti già ti dicono che la serata sarà perfetta in tutto. Padrone di casa Tonino Lunghi, leader dell'Udc assisana, si vede subito quanto coccolato e seguito dai suoi. Non vedo le solite bretelle, ma vedo e sento, quando fa il suo intervento, che dall'ultima volta è cresciuto. Le campagne elettorali sono sempre una straordinaria palestra, tanto più quanto temerarie come quella che mi stanno raccontando. Prima del racconto, però, mi accorgo che da una parte c'è il manifesto elettorale della loro lista, ma non c'è il simbolo dell'Udc. Mi guardo intorno, ma non mi sono sbagliato, sono tutti dell'Udc. Avete rinunciato al simbolo ed avete fatto una lista civica? "No, abbiamo dovuto fare un'altra lista, la Binetti pretendeva, contro tutto il partito d'Assisi, che sostenessimo Bartolini! Hai capito? Bartolini! Che noi all'epoca mandammo a casa che non ne potevamo più!". Ho capito, la Binetti.
Per chi non lo sapesse, è una gentile signora che, qualche anno fa, scese generosamente in campo per illuminare e guidare la nostra media umanità. Osservata e udita quanto basta, non ho mai capito (limite mio) perché mai tanta attenzione politica. Sino al punto che persino Pierferdinando Casini, poco più di un anno fa, sguainò lo spadone regale, la salvò dal terribile dragone Pd che l'aveva rapita e le fece gentil dono della candidatura Udc alla Presidena della contrada ummbra. La regale investitura io la udii, agghiacciato, nella diretta della conferenza stampa, via etere grpr, che persino la mia auto ebbe un principio di sbandamento. Candidatura, ovviamente, con esiti disastrosi ma, come può accadere solo nella nostra politica di questi tempi, fu anche premiata ed il gentil dono, poi, divenne la proprietà dell'Udc umbro: "Vai e fanne ciò che vuoi!". E ne ha fatto ciò che ha voluto.
Ad Assisi la sua Udc, zeppa di nomi finti, ha fatto il tre virgola, fuori dal consiglio comunale come mai dal dopoguerra. A Trevi, schierata contro il Dc Andreani, lo ha fatto perdere per 14 voti (bastava spostarbe 7). A Nocera Umbra l'Udc ancora esiste grazie a Luciano Morini, giovane stravotato dissidente dell'era binettiama.
Il quadro è pessimo, ma l'arrosto di agnello è splendido, speciale la testina, il vino ottimo. Mi giro e vedo il mio amico Massimo Mariangeli, storico riferimento dell'Udc di Città di Castello, si è votato anche lì. Ok, Massimo, tirarci un pò su e raccontaci.
Mannaggia a me, non l'avesso mai detto. Si alza e fa per prendere la parola, poi si ferma... E' commosso? Occhi lucidi, sta per piangere. O forse sta piangendo. Non lo si, perché ho evitato di vedere. Poi parla, ma urge sigaretta fuori con Donatella Cenci.
L'Udc a Città di Castello, quarto comune dell'Umbria, ha fatto l'uno virgola. Cancellata, distrutta, annientata, non esiste più. Ancora la Binetti, che ha imposto la sua operazione ridicola sino all'annientamento elettorale. Se si votasse oggi, l'Udc scomparirebbe da tutte le istituzioni umbre, il Parlamento neanche in foto.
Rientro che arriva il dolce, sicuramente all'altezza, ma a questo punto mi alzo che devo dire due parole, 15 anni di consiglio comunale a Perugia, qua e là anche scoppiettanti, sono medaglietta spendibile in queste situazioni. Sono due anni che non parlo a più di tre persone insieme, ma l'ambiente familiare non consente timidezze. Taglio positivo, straordinari gli amici di Assisi, grande Luciano a Nocera e per l'Udc umbro il bicchiere può comunque essere mezzo pieno perché, considerazione finale, adesso, senza più la Binetti, si potrà finalmente ripartire... Un boato mi sommerge: "Senza più la Binetti?". Perché? Non si è dimessa? "Nooooo! Anzi si è pure dichiarata soddisfatta!". Non è possibile. Neanche chiedo se la dimettono almeno da Roma, non voglio bissare la brutta figura. Ci rinuncio, mi risiedo e non voglio neanche il caffè.
Baci e abbracci a fine serata, ci vediamo presto. Ok, quando mi richiamate ci sono, però, la proa volta, o parliamo di calcio, oppure, se proprio volete parlare di politica, ormai ditemi che andiamo ad occupare con i sacchi a pelo la sede romana dell'Udc, è innanzitutto la nostra. I primi che iniziano richiameranno orde imbufalite da tutta la penisola, siamo messi molto peggio della Spagna, non se ne può più di questi partiti tutti di plastica. Ci rimaniamo fintanto che non se ne vanno i protagonisti stanchi di una triste stagione che volge al termine. Ovviamente, sempre memori della nostra preziosa scuola Dc, saremo pronti a trattare una loro onorevole resa. Poi, finalmente, si potrà ricominciare. Sulla via del ritoorno, ormai notturna, è stata sì una bella serata, ma il pensiero è l'immagine delle lacrime di Massimo, per quell'uno virgola della sua città. Quel suo dolore, non c'è dubbio, va riscattato al più presto. Cesa-Casini sto andando a ricomprare idoneo sacco a pelo, per una volta finalmente eserciterò i miei diritti di socio, stiamo arrivando.

martedì 5 aprile 2011

PER RICORDARE LA FIGURA DI GIORGIO SPITELLA A DIECI ANNI DALLA SCOMPARSA


(ASCA) Perugia, 5 aprile - A dieci anni dalla scomparsa di Giorgio Spitella, per cinquant'anni testimone dell'impegno cattolico in politica, l'Università per Stranieri di Perugia organizza un incontro pubblico per commemorarne la figura di politico, di rettore e di uomo. Lo annuncia una nota dell'Ateneo in cui si sottolinea che il 9 aprile, a ricordarlo ci saranno anche Pierferdinando Casini ed Emilio Colombo, accolti da Stefania Giannini, che dal 2004 è Magnifico Rettore dell'istituzione, al pari di Spitella che rivestì il ruolo sino al '94. Il lungo impegno pubblico di Spitella, umbro di Foligno, inizia nel 1956 come segretario provinciale della Democrazia Cristiana di Perugia, ma è preceduto dall'esperienza nella Gioventù Italiana dell'Azione Cattolica umbra. Sono gli anni dei "baschi verdi", divisa dei giovani che percepiscono la necessità di testimoniare i doveri civili e religiosi e anche in campo politico. Giorgio Spitella partecipa con entusiasmo alle iniziative che la Gioventù Cattolica anima in quel decennio ed eredita l'energia politica, che gli sarà di supporto per la successiva esperienza parlamentare, governativa e accademica. Nel 1976 è eletto senatore, riconfermato quattro volte fino al 1987, facendo parte delle Commissioni Istruzione Pubblica, Beni Culturali, Affari Esteri, dell'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa e dell'Unione Europea occidentale (UEO). E' inoltre sottosegretario ai Beni Culturali e Ambientali durante il terzo, quarto e quinto governo Andreotti. Nel 1982 è eletto Rettore dell'Università per Stranieri di Perugia, che nei dodici anni della sua reggenza amplia e consolida il ruolo di istituzione protagonista della politica estera culturale italiana.

sabato 2 aprile 2011

CASINI: SERVE CHIAREZZA NON SI PUO' GIOCARE SULLE SPALLE DEGLI ITALIANI, CON LA DEMAGOGIA DELLA LEGA AVREMO SEMPRE PIU' CLANDESTINI


Chi si era illuso che con la Lega al governo i clandestini non sarebbero arrivati vede che si tratta di un problema biblico che non si attenua perché al governo ci sta tizio o Caio. Con la demagogia, con le chiacchiere e le baggianate come le ronde, ci troveremo sempre più clandestini.
Ora aspettiamo che martedi, in Parlamento, il ministro Maroni ci dica luoghi, dislocazioni e numeri visto che finora abbiamo sentito solo chiacchiere e cose confuse. Quel che è certo è che non si possono fare i giochi delle tre carte sulle spalle degli italiani. I sacrifici, se ci sono, vanno ripartiti equamente tra tutti e bisogna soprattutto che le cose avvengano con chiarezza e trasparenza. Bisogna fare è rimandare a casa i clandestini ed accogliere i rifugiati. Non ci sono alternative.

Pierferdinando Casini

[dal sito istituzionale di Pierferdinando Casini]

venerdì 1 aprile 2011

ASPETTANDO TEJERO - "POI NESSUNO SI LAMENTI DELLA SFIDUCIA NELLA POLITICA", di Enzo Carra [Liberal, 01/04/2011]


Si può anche concludere che la situazione è grave ma non seria. Così va l'Italia e non c'è niente di nuovo. In fondo, nel pomeriggio di mercoledi abbiamo assistito al remake di una manifestazione, quella del lancio delle monetine, già andata in onda nell'aprile del '93, davanti all'albergo di Bettino Craxi. Con diversi ritocchi però. Le monetive non sono le stesse, oggi c'è l'euro. Craxi non c'è più, ma Cicchitto c'era. Tra gli insulti, a parte il "ladro", è comparso nuovamente il "fascista". Davanti al Raphael non potevano certo usarlo.

Sulla piazza di Montecitorio al ministro della Difesa, invece, gliel'hanno ripetuto più volte. A un ministro che, guarda un pò, dopo essere stato tanto tempo in aula per non far mancare il suo voto alla prescrizione breve ordinata dall'avvocato di Berlusconi, aveva sentito l'imperioso bisogno di conoscere i manifestante, e magari fare amicizia con loro. Tra questi lanciatori di monetine, rispetto al '93 mancavano certamente i suoi amici che, allora, erano in prima fila. Quel pomeriggio davanti al Raphal finì un'epoca. Chissà se la passeggiata pomeridiana del nostro uomo di governo coincida con la fine di un'altra. Le monetine portano bene. Lo dimostra il fatto che il ministro, rientrato a passo di carica a Montecitorio, non ha raccolto la solidarietà che s'aspettava ma, piuttosto, ha creato a sé stesso e al governo di cui fa parte un danno forse non rimediabile. Eppure, quella di mercoledi era una situazione infinitamente meno difficile di quella che avvolgeva Montecitorio durante la discussione del Patto Atlantico.

Al deputato comunista Nadia Gallico Spano che lo aggrediva: "Venga fuori, perché picchiano i deputati!" Giulio Andreotti, giovane sottosegretario di De Gasperi, rispondeva senza scomporsi che questa era una buona ragione per rimanere dentro. Mercoledi non c'era questo clima: lo scontro era duro, e basta. Lo si capisce anche rileggendo il fedele resoconto stenografico della Camera nel quale è descritto l'atteggiamento del ministro verso l'opposizione: lui coraggioso che ha appena sfidato i cento manifestanti e "voi sareste scappati come conigli". Dai banchi del Pd replicano, senza troppa fantasia: "Fascista, coglione!". Il protagonista di questa piccola Waterloo, dopo aver attaccato il fronte sinistro del Pd, decideva infine di mandare scrupolosamente affanculo il presidente della Camera. E poco imposta se ieri, poi, il verbale discusso e approvato in aula userà parole più lievi per riferire l'episodio. Figurarsi, si è rispolverato il verbo "apostrofare", ormai da tempo in pensione, per sintetizzare pudicamente la scena dell'affanculo, la quale però, lo si voglia o no, resta, in tutta la sua gravità di scontro istituzionale. E' comprensibile che i partecipanti a questa incredibile rissa preferiscano, finché è possibile, minimizzare, se non addirittura glissare. Il fatto che al ministro siano state somministrate molteplici raffiche dichiarative che lo definiscono un malato da curare e facciano pensare a un best seller di Dino Segre, più famoso come Pitigrilli, l'autore di Cocaina, ecco, tutto questo interessa relativamente poco. Qui in gioco c'è la saldezza del nostro sistema democratico. Giornate come queste danno la misura di quanto esso sia in crisi. Per fare di più e peggio, a questo punto, non può esserci che l'irruzione nell'aula di Montecitorio o di Palazzo Madama di un colonnello Tejero italiano (ma anche extra comunitario andrebbe bene). Insomma, non si può pensare di uscire da situazioni tanto complesse rivedendo i periodi di un verbale. Se nel giro di pochi mesi i portoni del Senato e quelli della Camera vengono assediati, e quello del Senato addirittura violato dai manifestanti, senza che il ministro degli Interno riesca a spiegare la ripetuta disattenzione della polizia. Se un ministro della Difesa può impunemente insultare la terza carica dello Stato. Se tutto questo succede senza che nessuno paghi, vuol dire che le istituzioni non sanno difendersi perché sono già diventate qualche altra cosa. E' per questo che chi ha chiesto le dimissioni del ministro non l'ha certamente fatto per portargli un attacco personale, ma perché è indispensabile un solenne atto riparatorio per ricominciare. Per nostra sventura fino a questo momento non ci sono state le dimissioni e neanche le scuse.


[da "Cronache di Liberal" del 01/04/2011 - collegati al Blog di Enzo Carra]

sabato 12 marzo 2011

(XX ANNIVERSARIO SCOMPARSA CARLO DONAT CATTIN) CASINI: "ABBIAMO BISOGNO DI TESTIMONI COME LUI"


XX Anniversario della scomparsa di Carlo Donat Cattin - Pierferdinando Casini: "E' stato un uomo politico che credeva ai valori, un anticonformista, difensore del mondo del lavoro, un uomo profondamente cristiano ma nello stesso tempo laico, un grande maestro di giovani, un uomo che decideva ma sapeva dialogare e coltivava un profondo senso delle istituzioni e oggi, in un momento in cui la politica sta degradando in un pragmatismo senza ideali, in cui le convenienze contano più delle convinzioni, abbiamo bisogno di testimoni come lui".

venerdì 7 gennaio 2011

PEZZOTTA (UDC): "NON LASCIAMO CADERE LA PROPOSTA DI BERSANI"

(ASCA) - Roma, 7 gennaio - "La proposta lanciata dal segretario del Partito Democratico per cambiare l'agenda del Paese non va lasciata cadere, ha il merito di uscire dall'inconcludente e stucchevole dibattito sulle alleanze per lanciare un confronto su una riforma repubblicana che parli di Istituzioni, federalismo, legge elettorale, informazione, conflitto d'interessi, giustizia e costi della politica".
Ad affermarlo è Savino Pezzotta, presidente del coordinamento nazionale dell'Udc e del movimento "La Rosa per l'Italia".
"A questo elenco aggiungerei il contrasto alla povertà e alle disuguaglianze. L'esigenza di un confronto sui problemi - prosegue Pezzotta - è molto vicina e quella lanciata alcuni mesi fa dall'Unione di Centro di aprire una fase di unità nazionale per portare il Paese fuori dalla crisi".
"Per queste ragioni e per l'urgenza dei problemi, l'Unione di Centro deve aprire con Bersani e con tutti coloro che ci stanno, un confronto pacato, sereno e libero da ogni radicalismo, sul merito sui problemi in modo che si possa incalzare sulle questioni vere un governo che sembra preoccuparsi di tutt'altro, che l'unica preoccupazione che lo anima è quella di organizzare un reclutamento di qualche parlamentare bisognoso, mentre la disoccupazione giovanile arriva al 28,9% non possiamo accontentarci delle dichiarazioni del Ministro Sacconi che promette sempre per domani l'assunzione di provvedimenti. Mentre si promette, la ripresa fatica ad animarsi, le povertà e le disuguaglianze crescono, mentre si cerca di salvarsi l'anima con le questioni etiche che vengono strumentalizzate a fini politici di corto respiro".
"ll Ministro Tremonti ha detto una verità: la crisi non è finita, per questo non ci si può rassegnare e attendere che deterministicamente l'economia riprenda. E' il tempo delle scelte e chi crede alle possibilità che il nostro Paese possa avere uno scatto di orgoglio, di responsabilità e uscire dalla rassegnazione in cui lo si vuole confinare, deve avviare un confronto vero sulle questioni vere. Ben venga l'appello di Bersani. E' finito il tempo di chiederci se i gatti sono rossi o azzurri ma di confrontarci per vedere quale è il gatto che prende i topi.
Ovvero chi ha veramente cura del Paese e delle persone deboli".