domenica 30 ottobre 2011

LAVORO, LICENZIAMENTI: LA TRAPPOLA, di Savino Pezzotta


DA IL RIFORMISTA
"LA CRESCITA C'E'! I DISOCCUPATI" di Gianmaria Pica
Licenziamenti facili. La norma allo studio del governo che introduce maggiore flessibilità in tema di esuberi aziendali, farebbe schizzare la disoccupazione oltre l'11 per cento. Il ministero del Welfare smentisce. Ma i numeri parlano chiaro, secondo i calcoli della Cgia di Mestre.
Licenziamenti facili per creare migliori condizioni di crescita per le imprese e per l’occupazione? Bando alla demagogia. I numeri parlano chiaro: se la norma proposta dal governo fosse applicata in questo momento, il tasso di disoccupazione aumenterebbe di ben tre punti percentuali. Berlusconi&Co. dovranno ricredersi, l’elaborazione dei dati Istat e Inps parlano chiaro: i disoccupati salirebbero all’11,1 per cento, anziché essere all’attuale 8,2 per cento, con quasi 738 mila persone senza lavoro in più rispetto a quelle conteggiate oggi dall’Istat.
Lo scenario è stato delineato dall’associazione artigiani Cgia di Mestre. Il segretario Giuseppe Bortolussi definisce il calcolo «un puro esercizio teorico» ottenuto «ipotizzando di applicare le disposizioni previste dal provvedimento sui licenziamenti per motivi economici a quanto avvenuto dal 2009 a oggi». Nella simulazione dell’organizzazione dei piccoli e medi imprenditori veneti è stato calcolato il numero dei lavoratori dipendenti che tra l’inizio di gennaio del 2009 e il luglio di quest’anno si sono trovati in Cig a zero ore. Vale a dire i lavoratori che per ragioni economiche sono stati costretti a utilizzare questo ammortizzatore sociale del quale, con il nuovo provvedimento potranno disporre probabilmente solo a licenziamento avvenuto. Pertanto, se fosse stata applicabile questa misura segnalata nei giorni scorsi dal governo all’Unione europea, negli ultimi due anni e mezzo, questi lavoratori, che hanno usufruito della cassa integrazione, si sarebbero trovati, trascorso il periodo di «cassa», fuori dal mercato del lavoro.
Insomma, secondo la stima della Cgia di Mestre, sommando le Unità di lavoro standard (Ula) che hanno utilizzato la Cig a zero ore nel 2009 (299.570 persone), nel 2010 (309.557) e nei primi sette mesi di quest’anno (128.574), si ottengono 737.700 potenziali espulsi dal mercato del lavoro che in questi ultimi due anni e mezzo avrebbero fatto salire il tasso di disoccupazione relativo al 2011, all’11,1 per cento.
Confermata, dunque, la teoria del Riformista, secondo cui il nuovo provvedimento allo studio del governo è solo una misura tampone, poco utile alla crescita, ma essenziale per rimpinguare le casse dello Stato. Il ragionamento è chiaro. L’esecutivo costretto al ferreo rigore di bilancio non può più permettersi di stanziare miliardi di euro per gli ammortizzatori sociali in deroga: il finanziamento è stato di oltre 3 miliardi di euro nel 2010, appena un miliardo per quest’anno.
Il re è ormai nudo. È inutile che si nasconde dietro le dichiarazioni dei suoi gregari. Ieri, con una nota, il ministero del Lavoro ha fatto sapere che «l’ipotesi del centro studi è destituita di ogni fondamento». «Ciò di cui si discute -conclude il comunicato – è la regolazione della risoluzione del rapporto di lavoro per motivi economici, in modo da incoraggiare la propensione a assumere perché l’obiettivo, ovviamente, è fare più occupazione, soprattutto giovanile. Tutte le simulazioni relative alla maggiore flessibilità in uscita che a livello internazionale sono state realizzate danno infatti più occupazione». Concetto ribadito anche dal ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, in un’intervista al Corriere della Sera. Sacconi, ha afferma che l’obiettivo del governo «non sono i licenziamenti facili, ma creare le condizioni per la crescita delle imprese e dell’occupazione». Poi ha affermato che l’esecutivo riaprirà «presto, nei prossimi giorni» la trattativa con le parti sociali.
Al momento, però, dal fronte sindacale – ritornato unitario contro i licenziamenti facili – c’è la volontà di contrastare la presentazione di questa norma impopolare. Sacconi ha replicato alle organizzazioni dei lavoratori così: «Sarebbe assurdo se dopo dieci anni dal Patto per l’Italia e dalla morte di Marco Biagi dovessimo registrare lo stessa clima esasperato e non invece la possibilità di un confronto sereno. Cisl, Uil e Ugl invocano giustamente un tavolo di confronto sul lavoro. E noi lo vogliamo aprire quanto prima». Cgil esclusa.
Chiusura sul provvedimento anche da Savino Pezzotta, ex leader Cisl e parlamentare Udc: «Le regole sui licenziamenti collettivi in Italia – avverte – ci sono già e funzionano bene da anni. Nessuno fino a ora ha sentito l’esigenza di modificarle: è chiaro che si è di fronte al tentativo di fare altro e di incidere su quelli individuali». Insomma, anche per l’ex sindacalista la norma è «surreale» e non degna «di essere discussa». Invece di parlare di licenziamenti, per Pezzotta, «Berlusconi ci dica quante risorse mette a disposizione per il lavoro giovanile, per la formazione e il reimpiego dei cassintegrati, soprattutto i più anziani. In un paese che ha un tasso di attività del 57 per cento. Usare la parola licenziamento – conclude Pezzotta – è una bestemmia».

Scheda sintetica sulle norme in vigore sui licenziamenti collettivi

Con il termine procedura di mobilità oggi si indica il licenziamento collettivo, che l’imprenditore può adottare in presenza delle due seguenti condizioni, previste dalla Legge 223/1991.
  • La prima ricorre allorquando l’ imprenditore, che ha già in atto sospensioni dal lavoro con intervento della Cassa integrazione guadagni straordinaria, ritenga di non poter attuare il risanamento o la ristrutturazione necessari al superamento della Cassa.
  • La seconda si verifica allorquando l’imprenditore, che occupi più di 15 dipendenti, intenda licenziare almeno 5 lavoratori, nell’arco di 120 giorni, in conseguenza di una riduzione o di una trasformazione di attività o di lavoro, o quando lo stesso intenda cessare l’attività.
In entrambi i casi, l’imprenditore deve seguire una specifica procedura prevista dalla legge, informando preventivamente le Rappresentanze sindacali aziendali e i Sindacati Maggiormente rappresentativi . L’informazione deve riguardare i motivi che impediscono l’adozione di strumenti alternativi al licenziamento e le misure eventualmente programmate per ridurne l’impatto sociale.
A richiesta del sindacato, all’informazione dovrà seguire un esame congiunto, all’esito del quale le parti possono raggiungere un accordo, che individui – tra l’altro – i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare in maniera diversa da quelli indicati dalla legge (carichi di famiglia, anzianità, esigenze aziendali).
Le violazioni della procedura sindacale comportano l’inefficacia del licenziamento, con obbligo di reintegrare i lavoratori nei rispettivi posti di lavoro.Tali criteri rappresentano un aspetto di estrema rilevanza e la loro concreta applicazione è stata oggetto di controversie giudiziarie che hanno stabilito precisi limiti nella cd. determinazione pattizia tra datore di lavoro e sindacato per la loro definizione.
Importante sottolineare altresì come la giurisprudenza abbia definito anche ulteriori aspetti procedurali, quali la mancata segnalazione all’UPLMO dei criteri di scelta applicati, che generano la nullità dei licenziamenti.
Un altro tema oggetto di controversia riguarda la scelta dei lavoratori da porre in mobilità e, più specificamente, quale riferimento produttivo debba essere preso in considerazione nel caso di chiusura di uno stabilimento di una società con diverse sedi
Altra questione che ha più volte sollecitato azioni giudiziarie riguarda l’ individuazione della soglia prevista dalla Legge per l’applicabilità della procedura di mobilità, cioè in quale modo e con quale riferimento temporale si debba calcolare il numero dei dipendenti dell’impresa.
La legge e la giurisprudenza hanno definito anche particolari forme di tutela per le lavoratrici donne, così come specifiche condizioni che possono determinare la riassunzione del lavoratore posto in mobilità.
A seguito della messa in mobilità, il lavoratore viene iscritto in un’apposita lista, che gli garantisce un accesso al lavoro agevolato. Inoltre, il datore di lavoro ha la possibilità di assumere a termine, per non più di 12 mesi, i lavoratori iscritti nelle liste di mobilità.
Il lavoratore in mobilità ha il diritto di percepire l’ indennità di mobilità, a condizione che abbia almeno 12 mesi di anzianità aziendale (di cui 6 di lavoro effettivamente prestato), e sempre che il suo datore di lavoro rientri nel campo di applicazione della Cassa integrazione guadagni straordinaria.

Nessun commento:

Posta un commento